Ogni regime democratico si fonda sulla trasparenza delle istituzioni e delle amministrazioni che, nell’era del digitale, passa dalla diffusione di dati ed informazioni apparentemente illeggibili, che vengono rese pubbliche e quindi diventano utilizzabili dai cittadini.
Si tratta di un passaggio inevitabile, strettamente correlato ad un rapporto più diretto tra cittadini ed istituzioni, con la possibilità di monitorare l’attività di quest’ultime e rendere accessibili molte più informazioni per la comunità.
Nel nostro Paese la diffusione degli Open Data è strettamente legato all’informatizzazione dell’enorme macchina burocratica italiana, un passaggio tuttora in progress per numerose realtà ma sul quale Governo e Parlamento stanno lavorando in maniera alacre. Superato il gap tecnologico, ci si trova davanti alla necessità di regolare il rilascio di Open Data secondo criteri di legge ben precisi; attualmente infatti la disponibilità degli OD è a totale discrezione delle amministrazioni, che possono scegliere di rendere pubblici i dati e per qualsivoglia ragione interrompere tale procedura, senza incorrere in sanzioni o violazioni della legge. Questo contesto “spontaneo” di produzione e rilascio degli Open Data rappresenta sicuramente un motivo di rallentamento del processo, in quanto la mancata regolamentazione rende incerta la produzione di tali dati e lo sviluppo del terzo passaggio, ovvero la nascita di applicazioni e tool in grado di leggere ed interpretare tali informazioni.
Gli Open Data infatti, così come sono, rischiano di essere poco interessanti e difficilmente utilizzabili dai cittadini. La peculiarità della loro funzione deriva soprattutto dall’incrocio di più informazioni tramite app che siano in grado di restituirle ai cittadini sotto forma di informazioni utili. Inquadrati quindi i tre passaggi fondamentali (informatizzazione, regolamentazione e sviluppo di applicazioni).