La corte d’assise di Torino ha emesso la sentenza Eternit: i due imputati, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis de Cartier, sono stati condannati a 16 anni per disastro doloso permanente e omissione dolosa di dispositivi di prevenzione, a fronte della richiesta di 20 anni del Pm Guariniello.
Il dispositivo fa però una distinzione tra gli stabilimenti italiani, dichiarandoli colpevoli per quanto riguarda Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), mentre il reato sarebbe estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania. Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier erano entrambi ex manager ai vertici della multinazionale dell’amianto. Così il processo Eternit è anche un processo a un certo modo di guidare le multinazionali, un atto d’accusa ai super-dirigenti che non si preoccupano di quello che succede nelle filiali periferiche e che, anzi, minimizzano i problemi o fanno di tutto per nasconderli.
Con circa 2000 persone tra familiari delle vittime, giornalisti e delegazioni provenienti da Francia, Inghilterra, Stati Uniti e, naturalmente, Italia si è così svolto “il più grande processo – ha dichiarato Guariniello – nel mondo e nella storia in materia di sicurezza sul lavoro. C’è stato un grande interesse da parte di tutti i paesi in cui si è lavorato l’amianto. Questa è la dimostrazione che si può fare un processo. Bisogna lavorare per fare giustizia, noi abbiamo avuto aiuto da tutte le istituzioni”.
Forse la sentenza poteva essere anche più dura ma finalmente la giustizia italiana ha avuto il coraggio, la decisione e la fermezza di condannare la multinazionale che, per incuria, spregiudicatezza, attenzione solo al guadagno, ha portato alla morte più di 2.191 morti e 665 malati di patologie causate dall’amianto.
Con questa sentenza si apre una vera e propria rivoluzione, si apre una via di uscita e soprattutto di giustizia per le centinaia di migliaia di lavoratori in tutto il mondo che sono stati, o che ancora lo sono, esposti alle fibre d’amianto.